Mi capita spessissimo di sentire persone che ritengono che, a curarsi, non dovrebbero essere loro ma, piuttosto, i loro parenti, compagni, amici. Insomma le persone che, nella loro vita, offrono troppi dolori e poche gioie. Accanto a questa affermazione se ne accompagna, in genere, un’altra “peccato che non si accorgano di averne bisogno!”
Potremmo fare molte considerazioni su queste due frasi ma una è, secondo me, fondamentale. I sintomi ci spingono in terapia. Il carattere invece ci convince che non abbiamo bisogno di terapia.
Che differenza c’è tra carattere e sintomo? Il sintomo è quello che ci fa stare male. È la febbre nell’influenza, il disagio emotivo in psicologia. Anche se sappiamo che la febbre è solo un sintomo e non la malattia ci indica che c’è qualcosa che non va. Lo stesso servizio fa, per noi, il dolore emotivo.
Il carattere invece è ego-sintonico, ossia è un insieme coerente che costruiamo per evitare il disagio e i bordi appuntiti dell’anima nostra e altrui. Ecco perché nessuno viene in terapia perché ha un “cattivo carattere”: quel carattere gli evita di sentire il suo dolore primitivo e gli permette di funzionare bene nel mondo. Sono gli altri che vorrebbero mandarci in terapia per il nostro carattere: a noi sta davvero bene così.
C’è solo un momento in cui il nostro carattere diventa scomodo: è quando le illusioni che stanno alla base crollano e scoprono la loro limitatezza. Il nostro carattere nasce, infatti su una base illusoria, diversa per ogni carattere. La mia illusione preferita è quella orale: la convinzione che la mia generosità garantisca l’amore. Non è così ovviamente ma crederci mi fa compagnia! E saperlo mi permette di riconoscere quando offro qualcosa e, invece, avrei solo bisogno di ricevere un gesto d’affetto. E questa consapevolezza apre nuove possibilità di scelta
I problemi caratteriali si differenziano dai sintomi nevrotici in quanto in essi manca l’introspezione della malattia. Alexander Lowen in Il linguaggio del corpo 1958
Pratica del giorno: Grounding
© Nicoletta Cinotti 2018 L’analisi del carattere 2.0