Ci sono emozioni molto difficili. Emozioni che ci fanno pensare che la cosa migliore del mondo sia evitare le situazioni in cui possiamo provarle.

Poi ci sono emozioni che, quando sorgono, diventano esse stesse una forma di evitamento. La vergogna è una di queste.
Torno spesso sul tema della vergogna non solo perché sono un’esperta in materia. Ci torno spesso anche perché non finisco mai di stupirmi nello scoprire quanto è diffusa, presente e portatrice di patologia. Chi prova molta vergogna è costretto da questo sentimento a nascondersi e, certamente, nascondiamo tutte quelle parti di noi che ci suscitano vergogna.

Così alla fine, siccome sono una riordinatrice (che vuol dire che non riesco ad evitare di dare struttura a quello che capisco), mi sembra che la vergogna prenda essenzialmente tre strade.

La prima strada è quella di farci maturare un atteggiamento autocritico. Dietro al perfezionismo personale sta, molto molto spesso, una forma di vergogna. Siccome a volte ci siamo vergognati, puniamo noi stessi con la critica proprio perchè siamo noi stessi ad esserci messi in una incresciosa situazione in cui abbiamo provato vergogna. Questa è la strada dei riflessivi che, per qualsiasi evento, trovano una propria responsabilità. La riflessione è una bella cosa ma non deve diventare un’arma di attacco personale. Ovviamente sono ottimi incassatori.

La seconda strada è quella di attaccare/biasimare gli altri. Siccome qualcosa del mondo esterno ci mette in difficoltà, biasimiamo il mondo. Anziché prenderci cura della nostra difficoltà pretenderemmo che nessuno, al mondo, facesse emergere in noi quella sensazione scomoda e bruciante che corrisponde al sentirsi inadeguati. Questa è la strada dei proiettivi. Il problema è sempre degli altri e sono sempre gli altri che dovrebbero fare qualcosa di diverso. Si vergognano talmente dell’idea di sbagliare qualcosa che risolvono il problema dando sempre la colpa all’esterno. Ovviamente sono ottimi giocatori di tennis.

Poi c’è la terza strada, quella che a me suscita più dolore quando la vedo in azione: quella della rinuncia. Sono le persone che non sbagliano perché non provano. È difficile, difficilissimo farli uscire dalla loro rinuncia. Sono le persone con le quali mi impegno di più, con quelli che Paolo Conte chiamerebbe spettacoli di arte varia. Sorridono, si divertono, si avvicinano ma solo qualche volta rischiano. Se rischiano e qualcosa va male è difficilissimo poi convincerli che a tutti va male qualcosa. Avrebbero bisogno di un santo protettore tutto loro; il punto è che i santi, in genere, proteggono gli audaci. Sono tanto preoccupati dalle loro azioni che, a volte, possono diventare un po’ egoisti. Ovviamente sono ottimi meditatori perché, per loro, stare fermi non è difficile.

Per superare l’egoismo è necessario essere coraggiosi. È come se, in piedi sul trampolino di una piscina, con indosso il costume da bagno, vi domandaste: “E adesso?” La risposta sarebbe ovviamente “Salta”. Ecco il coraggio. Vi potreste chiedere se, saltando, affonderete o vi ferirete. Potreste. Non c’è alcuna assicurazione ma vale la pena saltare per scoprire cosa accadrà. (…) Siate semplicemente voi stessi, senza aggrapparvi a quei punti di riferimento che la mente crea in continuazione. Chogyam Trungpa

Pratica di Mindfulness: Il desiderio profondo del cuore. Meditazione live 

© Nicoletta Cinotti 2019

Reparenting ourselves. Ritiro dal vivo e home retreat

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