Ho una passione per la R. Ha un suono simile al ruggito, rumoreggia ripetutamente in molte parole alle quali dà forza e grinta, grazia e risonanza. Soprattutto mi piace la R di rabbia. Già quando la dici ti sembra di sentire il suo rumore sordo, arrivare da regioni remote. Riprendere spazio tra le cose, ricordare residui dimenticati e ammucchiati dentro di te, che risaltano, rimbalzano, ritornano, rispondono, risplendono della luce che nasce quando si sente di aver ragione. A torto o a ragione, quando sei arrabbiato, hai la convinzione di avere sempre ragione.
La R di rabbia ha un corteo che ricambia la grinta. Quando ristagna, arrivano rancore, risentimento, livore, ruggine, rancido rimprovero, ruvido rispondere, rapido incattivirsi, ripida ripicca, causistico sarcasmo, presagi di acrimonia, bagliori di broncio, brividi di stizza.
Alla fine il vocabolario della rabbia riattiva, e chi non la prova mai perchè ne ha paura rimane bloccato con trepidazione nel timore tremolante. Chi la prova ogni tanto risale più velocemente dagli abissi della depressione. Chi ci ristagna invece irrancidisce come l’aceto di vino. Non l’aceto aromatico: in quello il rimorso ha trasformato la rabbia in qualcosa di agrodolce che rende un gusto nuovo ad un vecchio sapore: il gusto dell’uscire dallo schema consueto. Mi arrabbio e risalgo in superficie, prendo una boccata d’aria e capisco che tutto è in gioco, basta non ristagnare e non diventare un rancoroso esempio di rimpianto e risentimento.
Perché non so riconoscere
questo antico nodo della mia esistenza?
Lo so: perché in me è ormai chiuso il demone
della rabbia. Un piccolo, sordo, fosco;
sentimento che m’intossica
esaurimento, dicono, febbrile impazienza
dei nervi: ma non ne è libera più la coscienza.
Un breve estratto della poesia di Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo
Pratica di mindfulness: Lasciar andare
© Nicoletta Cinotti 2021 Mindfulness ed emozioni.