Sono stata una bambina sensibile. una di quelle con le antenne sempre accese, pronta a cogliere gli umori degli altri ma, anche, pronta a rispondere con eccessiva sensibilità alle cose della vita.

La sensibilità, come tante altre qualità, non è solo un vantaggio. A volte, molte volte, diventa un problema perché può renderci troppo reattivi. Come se la vita fosse sempre ad alto volume e gli altri fossero sempre un pericolo. Può renderci troppo delicati per sostenere gli alti e bassi di una relazione. Qualche anno fa uscì un libro che lasciò il segno “Il dramma del bambino dotato”. Il bambino dotato non è quello che ha particolari capacità cognitive. È quello che sente troppo tutto e, per questa ragione, rischia di diventare molto difeso. Eccessivamente difeso. È quello che si abitua a dipendere dall’approvazione degli altri e che fa quindi tanto per compiacerli. Quella dotazione produce sensibilità e poi diventa, con gli anni, quella vulnerabilità narcisistica che trasforma ogni piccolo contrattempo in un grande problema.

Così, anche se può sembrare paradossale, essere ipersensibili può diventare un ostacolo relazionale e non un vantaggio perché gli altri possono farci male facilmente, troppo facilmente. Anzi ci sembra che dovrebbero capirci come noi capiamo loro e scoprendo che non è così possiamo allontanarcene fin troppo.

La vera perdita però non è solo l’essere eccessivamente vulnerabile ai comportamenti degli altri. È anche finire per entrare in una spirale in cui, poiché gli altri ti feriscono, sono da biasimare. Liberarsi da questo circolo vizioso di sensibilità, ferita, biasimo, richiede tanto tempo e tanta compassione. Compassione per la propria sensibilità e compassione per l’altro che non sa, né può saperlo, quanto siamo delicati. Troppo delicati.

Per fortuna possiamo diventare psicologi!