Chiamiamo «pulizia» la rimozione di ciò che è indesiderabile, il ristabilimento dell’ordine. «Pulizia» significa ordine. Zygmunt Bauman
Quando parliamo dell’importanza di saper fluire con l’esperienza è facile trovare molti sostenitori teorici. Quello della fluidità è ormai un concetto presente nella clinica, nella sociologia (Zygmunt Bauman) e in molte tradizione spirituali.
Nello stesso tempo possiamo accorgerci che, tra i più fedeli sostenitori dell’importanza del lasciar andare e fluire ci sono anche persone che, invece, avrebbero bisogno di un pò più di struttura e consistenza. Questo spesso finisce per alimentare la critica alla possibilità di lasciar andare e trasforma un concetto davvero ricco e complesso, in uno slogan riduttivo e un pò modaiolo.
Il contatto sostitutivo
Uno dei concetti più geniale di Reich è, a mio parere, quello di contatto sostitutivo. Cosa significa e cosa vuol dire rispetto all’argomento del giorno?
Andiamo con ordine: quando non riusciamo a rispondere al nostro bisogno originario – e in genere questo avviene per ragioni difensive – diamo una risposta sostitutiva. Non riusciamo a curarci di noi? Diventiamo molto attenti al nostro aspetto estetico (contatto sostitutivo). Non riusciamo a dire la verità? Parliamo moltissimo di moltissime cose (contatto sostitutivo). Non riusciamo ad avere relazioni profonde? Abbiamo moltissime relazioni superficiali (contatto sostitutivo). Gli esempi potrebbero continuare a lungo. Il contatto sostitutivo è, in poche parole, la cosa che più si avvicina al nostro vero bisogno, senza andare a toccare la vulnerabilità che il nostro vero bisogno produce.
Tornando al fluire e alla capacità di lasciar andare, questa capacità nasce dal farsi toccare profondamente dall’esperienza, dal viverla pienamente – sentendone tutta la carica corporea ed emotiva – per poi lasciarla andare, ossia scaricare le tensione che comporta ed essere così nuovamente presenti all’esperienza in corso.
Poichè questo è difficile usiamo spesso due strategie sostitutive: procrastiniamo e ci distraiamo. La sensazione che entrambe ci lasciano è molto simile a quella della scarica che abbiamo dopo aver pienamente vissuto una esperienza ma sono un trucco in cui mentiamo a noi stessi.
Perché procrastiniamo?
Molto spesso lo facciamo perché abbiamo paura di fallire o di incontrare qualcosa di difficile o che confonda le nostre idee. Spesso dietro questa paura si nasconde una idealizzazione
Facciamo un esempio: voglio scrivere un articolo. Ho molte idee ma ho paura di non saperle mettere per iscritto. Quindi leggo qua e là, chiacchiero sull’argomento a destra e a manca, costruisco un sacco di teorie mentali e rimando all’infinito il momento in cui mi metterò alla tastiera e proverò ad esporle con ordine.
Mi dico anche che ho diritto a riposarmi, che dopo una passeggiata – o una birra o un film – verranno molto meglio. E rimando ancora un pò.
Se accetto di lasciar andare l’ideale di scrivere la cosa migliore del momento, di avere molti lettori, di avere successo – a qualunque altro ideale sia nascosto dentro al mio procrastinare – sarà molto più facile accettare di fare quello che riesco e che posso scrivere in questo momento. Insomma per crescere abbiamo bisogno di uscire dalla nostra zona di comfort ed è solo quando iniziamo a realizzare i nostri progetti che comprendiamo quali possono essere davvero le difficoltà. E’ solo con questo inizio che possiamo imparare le cose nuove di cui abbiamo bisogno e andare avanti.
In questo senso possiamo essere grati per le difficoltà che incontriamo perché ci permettono di comprendere in quale direzione abbiamo bisogno di crescere.
Incontrare queste difficoltà è un’ottima cura per la procrastinazione.
La distrazione
In questo senso la distrazione è l’altra faccia della procrastinazione. Non ci focalizziamo su una cosa precisa ma lasciamo che la nostra mente sia vaga ed errabonda
Molte distrazioni sono facili e confortevoli. Sono sostenute dal piacere e, a volte, sono dei veri e propri divertimenti. Per alcuni sono i videogiochi, o navigare in rete, o giocare a solitario, o guardare la televisione. Attività in cui facciamo qualcosa di piacevole e, contemporaneamente, rimandiamo di fare quello che vorremmo fare.
Leo Babauta suggerisce un piccolo vademecum per lasciar andare la distrazione. Proviamo a vederlo insieme:
- Guarda che cosa ti offre quella distrazione. Forse dà delle conferme o una piccola dose di qualcosa che ti interessa. Questi aspetti nutrono il nostro desiderio di distrarci e ci trascinano oltre il necessario..
- La distrazione comporta, insieme al piacere, anche degli svantaggi. Quali sono gli svantaggi e che danno producono?
- La distrazione comporta un piare che è immediato. Qual è il piacere a lunga scadenza che ci sottraggono?
- Prova a vedere cosa succede se lasci andare la tua distrazione. Cosa ti dà appagamento nella tua vita, al di là del piacere del distrarti?
- Quali sono le fonti del piacere dentro di te, piuttosto che fuori di te? Cosa ti fa essere contento di te stesso?
- Com’è la libertà che sperimenti quando abbandoni la distrazione?
Io suggerisco anche un piccolo esercizio per iniziare. Prova a fare la consapevolezza del respiro per qualche minuto e guarda quante volte ti distrai. Che effetto ti fa prendere contatto con questa realtà del tuo panorama interiore. Cosa conosci della tua distrazione e dove ti porta ripetutamente? ci sono degli aspetti che ritornano oppure è un vagare da un pensiero all’altro?
Perchè perdere il tempo prezioso della nostra vita?
Da Itaca
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. C. Kavafis
La nostra vita è un’opera d’arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo – come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a distanza ravvicinata. Zygmunt Baumann
© Nicoletta Cinotti 2014