Ci sono degli equivoci quando si parla di emozioni positive. il primo equivoco è far credere – o credere – che dovremmo provarle e che il fatto di provarle sia in sé e per sé un segnale positivo. L’equivoco che ci fa dire “bene o male” è una specie di assioma per cui se proviamo un’emozione negativa è male e se proviamo un’emozione positiva è bene. Così trasformiamo le emozioni in qualcosa di manipolabile a comando, togliendo la qualità informativa e spontanea che, invece, le accompagna.
Trasformiamo la gentilezza in cortesia, la gratitudine in buona educazione. La gratitudine non è qualcosa di obbligatorio da provare in cambio dell’aver ricevuto. Non è il resto educato di un buon acquisto. È, piuttosto, un’emozione che sorge spontanea quando abbiamo provato un’attenzione profonda e intima. Sentire che non c’è nulla di scontato e, per questo, stupirsi di essere vivi e anche felici di questo regalo inaspettato.
È la capacità di conversare anche senza dire una parola perché rimaniamo aperti all’intreccio che si svolge sotto i nostri occhi. La gratitudine non è una restituzione dovuta: è quello che avviene quando non siamo distratti e ci accorgiamo che c’è molto di più di quello che credevamo.
È quando la realtà raggiunge il cuore e non si ferma nei meandri del pensiero. Non dobbiamo sforzarci di dire grazie. Possiamo rimanere presenti fino a che non sorge, proprio come il sole.
Pratica di mindfulness: La pratica della gratitudine
© Nicoletta Cinotti 2021 Emozioni selvatiche: un programma per elefanti coraggiosi