Ieri è stata la mia giornata nazionale dell’errore. La faccio almeno una volta al mese: giornate in cui ne infilo uno dietro l’altro come perle barzocche di una collana da bambini. Ovviamente questo sarebbe niente: la cosa migliore viene quando arrivano le correzioni, mie o altrui. Io con gli errori ho un rapporto ambivalente.

Di alcuni mi vergogno tantissimo, come se fossero una sorta di crimine. Mi vergogno tantissimo dei refusi che faccio scrivendo e se posso, ogni giorno, ore dopo averlo scritto, rileggo il post e lo correggo, sempre con imbarazzo. Mi sembrano errori che rivelano frettolosità e trascuratezza, poca grazia e sprigionano un gran senso di disagio, anche se sono piccoli. Sono gli errori che mi affretto a confessare appena posso perché aspetto una qualche assoluzione.

Poi ci sono errori che riconosco e non correggo. Per esempio ieri ho scritto che strettezza era un aggettivo e invece è un sostantivo. Ci ho pensato un po’ se correggerlo o no e poi ho deciso che non andava corretto, che lo lasciavo così alla luce del giorno. Imbarazzante, visto che mi occupo trasversalmente di scrittura, eppure autentico. Gli errori che dicono qualcosa di spontaneo e autentico tendo a non correggerli. Non perché non mi suscitino imbarazzo ma perché mi rendo conto che la correzione non sarebbe solo un atto superficiale ma una piccola – o grande – negazione di una parte di me. Allora per fedeltà a me e alla verità lascio che questi errori brillino. Una volta una persona mi ha detto che mi rendono umana: io sono quanto sono fallace e quindi umana. Non è per quello che li lascio stare. No, è per non svegliare il mostro che dorme dentro di me e che, con gli anni, ho un po’ addomesticato ma è sempre pronto a riprendere campo e battaglia.

Quel mostro si chiama perfezionismo e so che effetto produce: diventa una paralisi crudele in cui non creo più nulla per non sbagliare. Oppure rallento tantissimo il processo per verificare che proprio non ci siano errori e ogni intoppo è severamente redarguito. È uno di quei mostri nati a fin di bene – proteggermi dai rimproveri altrui – e che poi ha fatto, con gli anni, più male che bene. Perché il perfezionismo porta alla paralisi creativa. Ho visto tante persone geniali vittime di questa paralisi, spaventate dall’aver fatto molto bene qualcosa, non hanno più avuto il coraggio di fare qualcosa ancora per paura di non essere all’altezza della loro unica performance eccellente. È così che posso scrivere ogni giorno: onorando e lasciando brillare i miei errori. Nel sito ci sono circa 3500 post. Alcuni post che ho pubblicato li trovo decisamente “sbagliati”. Potrei correggerli o cancellarli: non sarebbe certo una perdita per l’umanità. Non lo faccio. È il mio piccolo modo per rivendicare il diritto all’errore. Per riconoscere che non c’è altro modo di imparare che sbagliare.

…un battito che perlopiù viene fornito dagli aggettivi. Spiazzanti e convincenti, iperbolici e precisi. Se sono rari e poco usati nella lingua è ancora meglio e fate più bella figura (…) Gli aggettivi seducono, i sostantivi annoiano. Questo è il grande segreto. Gli aggettivi li dovete dispensare con generosità, en passant, e a ritmo sostenuto. Paolo Sorrentino

Pratica di mindfulness: Addolcire, confortarsi, aprire

© Nicoletta Cinotti 2020 Parole che si poggiano sul cuore

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