Capita a tutti di essere invasi da pensieri di autocritica. A volte li giustifichiamo perché ci sembra che diano un po’ di spinta per fare qualche passo avanti. Altre volte ci disturbano, proprio quando potremmo gustarci un meritato riposo o lo spazio delle nostre vacanze. O il tempo libero da impegni e pressioni.
Quand’è che i pensieri possono portare più danno che beneficio?
Proviamo a fare un elenco
Proviamo a fare un elenco delle situazioni in cui possono essere più pericolosi che benefici:
1. I tuoi pensieri si accompagnano a bruschi cambiamenti d’umore?
2. Sono sproporzionati rispetto alle reali difficoltà che ti trovi ad incontrare?
3. Ti sembra che le richieste nei tuoi confronti siamo troppe per le forze che ti trovi ad avere realmente?
4. Hai la sensazione che la gioia di vivere venga ridotta dalla qualità dei pensieri?

Se hai risposto di si a queste domande
Se hai risposto di si ad una o più di queste domande non è ancora il caso di preoccuparsi ma il punto è: da quanto tempo succede? Se è una situazione che si protrae da settimane o mesi forse potrebbe essere il caso di fare qualcosa per noi e per la nostra mente. Perché? Molto semplicemente perché questa spirale ci porta ansia o, nei casi peggiori, ci può portare ad una sensazione di esaurimento e depressione.
I periodi di stress e di esaurimento spesso sembrano capitare senza una apparente ragione ma in realtà sono preceduti da avvisaglie, rappresentate proprio da quel tipo di pensieri, che citavo nel piccolo elenco sopra esposto.
Occuparsene è un modo per fare un passo fuori dai problemi prima che prendano il sopravvento e, soprattutto, prima che la nostra vita diventi “solo esistere” e non vivere.

La tendenza a fare e a stra-fare
I processi di pensiero sono dotati di una spinta all’azione e, se non riescono a spingerci all’azione, ci rimproverano perché non ci muoviamo!
Questo accade perché, attraverso i pensieri, programmiamo e calcoliamo la distanza che c’è tra dove siamo e dove vorremmo o dovremmo essere. Una funzione utilissima in moltissime occasioni, assolutamente controproducente se l’oggetto dell’esame sono le nostre emozioni. Perché con le emozioni non possiamo fare programmi: non possiamo decidere come ci sentiremo, né come dovremmo sentirci. È meglio rinunciare a questa mission impossible.
Così, ogni volta che stiamo pensando potremmo domandarci: “Sto cercando di cambiare il mio stato emotivo con i pensieri?” E se ci accorgiamo di sì la cosa migliore da fare è iniziare ad esplorare quali sono le emozioni nascoste nei pensieri, cercando di percepirne le radici corporee che, sempre, le accompagnano.
Distinguere le emozioni dai pensieri
Può non essere facile riconoscere le emozioni che stanno nei nostri pensieri: per farlo possiamo immaginarci che tono avremmo se dicessimo queste cose ad alta voce. Spesso il tono di voce è più semplice da riconoscere. Oppure possiamo domandarci qual è il nostro umore in quel momento e, partendo dall’umore, associare le emozioni. È importante riconoscere le emozioni che si nascondono nei nostri pensieri perché abbiamo un atteggiamento molto diverso verso le emozioni o verso i pensieri. Siamo correttivi verso le emozioni e diamo molta fiducia, invece, ai nostri pensieri. Ma, in realtà i pensieri sono, molto spesso, prodotti dell’umore che si associano a catene emotive e ricordi congruenti con quell’umore. Insomma, in realtà, i pensieri sono molto emotivi!
I movimenti dell’anima che possiamo fare con i pensieri non funzionali – ossia quei pensieri che sono sconnessi dalla situazione che stiamo vivendo – sono molti. Non richiedono una pratica meditativa ma avere una abitudine consolidata alla meditazione può renderci più facili questi passaggi.

Pensieri e movimenti dell’anima
Per interrompere il prepotente dominio dei pensieri sulle emozioni è necessario fare alcuni passi.
Provo ad elencarli: (visto che la mia mente ama la struttura e tende alla disciplina). Non avere paura se ogni tanto uso nomi un po’ tecnici: la spiegazione arriverà subito dopo!
1. Dis-identificazione. Tendiamo ad identificarci con le nostre emozioni, tanto che non diciamo quasi mai “Provo rabbia” ma diciamo “Sono arrabbiato” come se l’emozione diventasse un fenomeno stabile del nostro carattere. Siamo però consapevoli di quanto volubili e inconsistenti siano i nostri pensieri. Se separiamo le emozioni dai pensieri, riconoscendo quanto siano prodotti dalle emozioni, diminuiamo la nostra identificazione con i pensieri (
2. Noting. La notazione mentale (o noting) serve a ridurre l’inquietudine e la proliferazione mentale. Due parole sull’inquietudine. Come esseri umani tutto ciò che sentiamo ma non ha nome ci produce inquietudine (come direbbe l’amato Pessoa) o ansia (come dicono, meno poeticamente, gli psicologi). In-quietudine significa ricerca della quiete, e, durante la ricerca, movimento. Se diamo un nome adeguato a ciò che stiamo provando, la nostra mente si acquieta. Prova soddisfazione perché ha fatto una parte del suo lavoro: anzi, ha fatto il suo lavoro principale che è conoscere.
3. Non entrare nel contenuto. L’unica cautela di questo procedimento è quella di non entrare nell’analizzare il contenuto dei pensieri: questo li moltiplica e ci rende solo più inquieti perché abbiamo tante, tantissime cose a cui dobbiamo dare un nome! La notazione riguarda la categoria generale del pensiero e non i contenuti. Posso suggerirti alcune delle più frequenti tipologie di pensieri: pensieri sul passato, pensieri sul futuro, pensieri di fuga, programmazione, dialoghi, preoccupazioni ipocondriache. e così via. In realtà le categorie possono essere molte: l’importante è che la notazione non diventi un’ossessiva ricerca del cavillo!
aao4. I movimenti dell’anima: la gentilezza. Scacciare i pensieri con il rimprovero è come spazzare il giardino in un giorno di vento: non solo è inutile ma rischiamo di mettere ancora più foglie morte in circolo! Ecco perché i pensieri autocritici spesso sono come un concime per la proliferazione mentale. Iniziano un dibattito interno, fatto di analisi, spiegazioni, giustificazioni, momenti di crisi e ripresa del dibattito. A proposito, diffidate di pensieri interni che nascono dopo un’analisi, spiegazioni, giustificazioni, momenti di crisi, e dibattito interno. Questi aspetti del pensiero vanno utilizzati in un dialogo esterno, con un interlocutore che ci fa da partner. Se lo facciamo dentro di noi finiremo per dividerci in due posizioni. Peccato però che sono entrambe nostre e che questa divisione non può che farci soffrire ancora un po’.
5. La distanza e la gentilezza. Molti dei nostri errori cognitivi nascono da un eccesso di immersione nel campo percettivo. Detto con altre parole il proverbio ” È più facile vedere una pagliuzza nell’occhio del vicino che una trave nel proprio occhio” afferma una grande verità, che possiamo leggere in positivo. Se siamo troppo identificati, troppo dentro a quello che stiamo facendo, non vediamo gli errori, i bias, i difetti del nostro pensiero. Mentre, cognitivamente, ci è più facile vedere gli errori altrui, proprio perché abbiamo una maggiore distanza. Cosa possiamo fare allora, quando guardiamo con un po’ più di distanza le cose e ci accorgiamo di avere sbagliato? Consolarci. Questa è la prima cosa da fare. Attivare un critica significa alzare le onde. Confortarci per l’errore fatto e il dispiacere o la vergogna che ci suscita è, invece, il primo passo, fondamentale, perché possa avvenire quel processo di apprendimento dall’esperienza che è l’unica vera garanzia di trasformazione e crescita.
Avviso ai naviganti: aspetti educativi e pensieri
Molti buoni genitori insegnano ai loro bambini attraverso la spiegazione e il ragionamento, com’è meglio comportarsi. Anche quando provano emozioni intense, come la rabbia, il pianto, la gelosia. Utilizzano, per dirla in termine un po’ tecnico, la regolazione cognitiva delle emozioni. E questa è un’ottima cosa. Ma non può essere l’unica. Infatti spesso, un uso sovrabbondante della regolazione cognitiva porta, una volta diventati adulti, ad una facilità maggiore alla proliferazione mentale. Nessun strumento, per quanto buono, va bene sempre!
È importante che i bambini imparino anche strumenti di regolazione emotiva delle emozioni: se quando piangono o sono gelosi e arrabbiati, come prima cosa vengono consolati per il loro dolore, si permette loro di comprendere che le emozioni difficili possono essere curate da altre emozioni, come la gentilezza e la compassione.
Questo renderà loro più semplice, una volta adulti, rifare la stessa cosa con se stessi.
Se permettiamo che i nostri bambini siano troppo tempo fermi, davanti alla TV o al tablet o leggendo, verifichiamo che non sia perché sono “giù di corda”. In questo caso la cosa migliore da fare è attivarli giocando con loro anziché rimproverarli perché non stanno facendo qualcosa che gli fa bene. Anche l’attivazione – come la consolazione – è uno strumento di regolazione emotiva che può essere insegnato dai genitori e che, una volta diventati adulti, potrà essere utile. Così, quando saranno giù di corda sapranno che, una buona passeggiata, una nuotata, una partita a tennis, funzionano meglio del divano!
© Nicoletta Cinotti 2022
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Bibliografia di riferimento
Programma di autocompassione e mindfulness, Christopher Germer, Kristin Neff
Senza via di scampo, Pema Chodron
Metodo mindfulness: 56 giorno per la felicità, Mark Williams e Daniel Penman
Mindfulness ed emozioni, Nicoletta Cinotti