Prendendo domicilio in un nuovo appartamento o in una casa nuova, ci affidiamo al nuovo spazio e alle sue caratteristiche e qualità, dalla collocazione delle stanze ai percorsi possibili per attraversarle, al modo in cui la luce del sole cade nelle diverse stanze nei diversi momenti della giornata, alla posizione delle porte e delle finestre e all’effetto che fa il fluire dell’energia in quello spazio. Con il tempo quello spazio, se siamo ricettivi, ci restituisce la sensazione di “cosa dovrebbe andare e dove” e ci dà indicazioni sul modo migliore per abitarlo, sul genere di lavori che è meglio fare per migliorarne l’abitabilità.(…)
In modo analogo, quando il corpo ha bisogno di riabilitazione (…) ci dedichiamo ad esso nella sua interezza, al panorama corporeo come lo troviamo. Lo facciamo, in larga misura, percependolo momento per momento, sentendolo, esplorandolo con la mente e con movimenti consapevoli e delicati. Così, se ce ne occupiamo con cura, il corpo ci risponde, ci informa, ci fa sapere come sta e quali sono in quel momento i suoi limiti e i suoi bisogni. La reciprocità di relazione fra la percezione del corpo e l’esperienza vivente che ne facciamo ci rende più facile imparare – attimo per attimo, giorno per giorno – a tornare a viverci dentro. Quale corpo, quale vita una volta o l’altra non richiede (e magari desidera disperatamente) questo genere di lavori di ripristino, di riabilitazione? E poi, dobbiamo proprio subire un incidente o una malattia per deciderci a cominciarla?
Jon Kabat Zinn