Amo muovermi. Forse mi definirei addirittura sportiva, anche se non competitiva. Eppure quando ho iniziato a praticare sono stata colpita da un paradosso: semplice ed essenziale. Il fatto di starmene ferma. Anzi provare a starmene ferma perché, il solo fatto di praticare, attivava irrequietezza e movimenti finora mai percepiti.
Eppure nel tempo – a tutto questo movimento sotterraneo – si aggiungevano progressive sfumature di quiete e di non – azione. La non azione che si sperimenta nella pratica è, in un certo senso, molto attiva. Si esplora quello che emerge, si inizia a capire come funzioniamo e si dedica piena attenzione alla fioritura dl momento presente. Così quella non – azione comporta, da un certo punto di vista, un sacco di lavoro. Comporta una discesa nell’intimità con se stessi.
E perché avvenga è necessario farsi trovare dall’attenzione e non scappare sempre in qualche nuova attività. Così nel tempo ho iniziato a gustare quella non azione che mi permetteva di scegliere come agire, più di ogni altra cosa. Fino a questo fine settimana.
Quando sono stata seduta accanto al letto di una persona morente e ho capito un altro aspetto della non – azione: nella nostra vita esiste l’ineluttabile e la morte è solo il più grande degli ineluttabili che incontriamo. Di fronte agli ineluttabili, lottare aumenta solo il dolore e il turbamento. E la non – azione è l’unica azione possibile.
Quando è difficile praticarla vuol dire solo che abbiamo bisogno di una riserva aggiuntiva di compassione: per noi o per gli altri.
Non agire non sottintende indolenza o passività. Al contrario. Occorre grande coraggio ed energia per coltivare il non – agire sia nello stato di quiete sia di attività. (…) Non agire significa semplicemente lasciare che le cose seguano il proprio corso e si svolgano a loro modo. Jon Kabat Zinn
Pratica di mindfulness: Self compassion breathing
© Nicoletta Cinotti 2016 Cambiare diventando se stessi
Foto di ©ted craig