Ci sono momenti in cui procedo con una qualità dimezzata di presenza. Faccio una cosa, ne penso un’altra. A volte succede perché il compito che sto portando avanti è molto semplice e ripetitivo. A volte perché mi annoio e mi sembra così di distrarmi e rendere più leggero quello che faccio. Non sono la sola a conoscere questa qualità dimezzata di presenza e non è neanche una novità dei tempi moderni. Diventiamo come il cavaliere inesistente di Calvino: combattiamo per dovere la battaglia del quotidiano senza esserne davvero appassionati.

Perché sentire comporta un rischio. O forse molti rischi. Il rischio della vulnerabilità, il rischio dell’imprevedibilità, il rischio della novità che cerchiamo e temiamo insieme.

La qualità dimezzata di presenza però è come un vivere a metà. Anche le cose migliori perdono gusto e sapore. Per uscire da questa trance che ci isola dal sentire abbiamo bisogno di tornare al corpo e al respiro, al momento presente ma, soprattutto, abbiamo bisogno di tornare alla vastità e all’apertura del nostro cuore. È quello che dimezziamo quando siamo con il pilota automatico, quando diventiamo il cavaliere inesistente. Dimezzando l’attenzione dimezziamo il cuore che mettiamo nel fare le cose. E l’altra metà del cuore – quella disoccupata – non è libera. È disorientata. Non sa chi amare e a cosa volgere il suo sguardo, la sua passione, la sua vitalità.

Alla fine è un modo per evitare di vedere la verità, di evitare il contatto con le cose così come sono, con l’altro così com’è e con noi stessi così come siamo. Preferiamo deviare verso un’illusione piuttosto che stare di fronte alla realtà delle cose. Come mai vedere è un rischio così grande? Forse perché richiede di mettere da parte le nostre convinzioni. Vedere ci chiede di uscire dalla nostra auto-referenzialità per permettere che sia il mondo a parlarci. Si accompagna ad un altro rischio: quello di essere presenti.

Anziché vedere cerchiamo uno specchio che rifletta quello che pensiamo e perdiamo così la bellezza e la verità che sta in tutte le cose. C’è un legame sottile tra il rischio di vedere e l’attenzione che diamo alle cose. Se siamo pre-occupati di ricevere attenzione non riusciamo a vedere: vogliamo solo essere visti. Diventiamo accumulatori di attenzione  che non è tanto diverso dal diventare accumulatori di cose. Alla fine è una forma di avidità quella che ci impedisce di vedere: l’avidità di voler solo essere visti.

Matto forse non lo si può dire: è soltanto uno che c’è ma non sa d’esserci. Italo Calvino

Pratica del giorno: La classe del mattino

© Nicoletta Cinotti 2022 Mindfulness e psicoterapia: formazione in reparenting

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