Come facciamo a distaccarci da noi? Che cosa ci mette in condizione di giudicare la nostra condotta? Ecco la risposta di Alexander Lowen
La capacità di giudicare la propria condotta nasce dal processo di identificazione con i genitori e con altre figure autoritarie. Grazie a queste identificazioni, buone o cattive che siano, si acquista un punto di vista al di fuori di se stessi. Solo partendo da questo punto di vista l’Io riesce a ribellarsi contro il Sé, condannando le emozioni e dando luogo al senso di colpa. Da questa posizione esterna, le emozioni condannate vengono percepite come sbagliate. Allora ci si giustifica dissociandosi da esse in modo da attenuare il senso di colpa.
Alla fine di questo processo tentiamo di ricostruire la personalità divisa negando l’emozione e sostituendola con l’immagine della sensazione opposta. La persona che reprime la propria ostilità si considera un individuo amabile e ligio al dovere. Se reprime la collera si immagina buono e gentile. Se reprime la paura si ritiene coraggioso e audace.
Quando si verifica questo le emozioni che sorgono sono vergogna e senso di colpa – prosegue Lowen
La vergogna, come il senso di colpa, è un ostacolo all’accettazione di se stessi. Ci rende coscienti del nostro stato e ci priva della spontaneità che è l’essenza del piacere. Mette l’Io contro il corpo e, come il senso di colpa, distrugge l’unità della personalità. La salute emotiva non è possibile se lottiamo contro la vergogna o l’umiliazione. Essere umiliati è spesso molto più traumatizzante dell’essere feriti fisicamente. E la ferita che lascia raramente si rimargina spontaneamente: è percepita come una imperfezione del carattere e di solito occorre molto lavoro per liberarsene. Alexander Lowen Il Piacere
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