Sono cresciuta con il mito degli Stati Uniti. Ero piccola quando era presidente John Fitzgerald Kennedy e malgrado la tragica fine della sua presidenza e di suo fratello Bob Kennedy, l’America faceva sognare.
L’american dream per me voleva dire credere che ogni persona può realizzare i propri sogni e che, per ognuno di noi, esiste una California in cui questi sogni diventano realtà. Non dico che fosse un sogno perfetto: era un sogno competitivo, stressante, a volte esageratamente focalizzato sul vincere ma mi ha dato lo stimolo per credere in me e cercare di misurare non i limiti ma le possibilità.
Ieri ho capito che questo sogno non esiste più. Che gli Stati Uniti non sono più la terra promessa anche se continuano ad essere la fonte del 90% di ciò che leggo. Questo sogno se n’è andato con il secondo bambino sotto custodia, morto ieri, dopo aver attraversato il confine tra Messico e Stati Uniti. Per credere ad un sogno bisogna avere fiducia e oggi la fiducia non penso più che stia in un luogo lontano. In una terra da raggiungere.
Credo che stia in un luogo vicino che diventa, a volte, inaccessibile. Sta nel cuore. Il posto dove visibile e invisibile si incontrano. Il cuore è diventato la mia California, il mio American Dream. Perché lì posso essere me stessa e incontrare tutti gli altri con cui condivido le stesse emozioni di stupore, dolore, fatica, fiducia. Non è un incontro lirico e nemmeno romantico.
A volte incontro porte chiuse – mie e altrui – lungo la strada per raggiungere il cuore ma se non provo a percorrere questo viaggio – che va da lì a lì – non avrò mai la fiducia di fare un altro passo. Perché qualsiasi apprendimento inizia con la fiducia. La stessa che ci ha fatto imparare a camminare, malgrado barcollassimo. Che ci ha fatto imparare a parlare malgrado balbettassimo. Che ci ha fatto imparare a leggere e scrivere malgrado gli errori. Così ho fiducia che questo viaggio da qui a qui valga la pena di essere fatto.
Abbiamo bisogno di una strada, non per andare da qui a lì, ma per andare da qui a qui.Dobbiamo lavorare come la pioggia. La pioggia cade, semplicemente. Non chiede se sta facendo un bel suono cadendo o se le piante saranno grate dell’acqua che ricevono. La pioggia cade, una goccia dopo l’altra. Milioni di milioni di gocce d’acqua, che cadono, semplicemente. Jakusho Kwong
Pratica di mindfulness: Cullare il cuore
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