L’effetto di tutte le nostre difese è quello di diminuire il contatto tra noi e il mondo. Lo facciamo per proteggerci e, un po’, anche per chiudere le stalle quando i buoi sono scappati. La difesa infatti è sempre successiva ad un dolore. Ha una specie di efficacia preventiva, perché quello che ci ha fatto soffrire, ormai, è già passato.
Questa diminuzione di contatto è la porta d’accesso per i pensieri: non sentiamo più pienamente il mondo e quindi abbiamo bisogno di capirlo, e lo facciamo attraverso i pensieri, le ipotesi, lo studio e le elucubrazioni.
Sciogliere le difese non è facile ma la vera sfida è tornare in contatto. Ossia assottigliare quello strato di isolamento tra noi e l’esperienza che è una conseguenza della difesa. Possiamo accorgerci di quanto è solido questo strato, ascoltando il rumore emotivo di fondo della nostra mente. Se è una radio sempre accesa, possiamo essere certi che quella musica ci allontana dal contatto. La buona notizia è che riprendere il contatto è sempre possibile. Basta accettare di sentire quello che c’è da sentire.
E avere la fiducia che sentire ci renderà liberi.
La vera sfida, quando ci impegniamo nella pratica della mindfulness, è che la pratica in sé ci offre un immediato accesso ad altre dimensioni della nostra vita che sono sempre state presenti ma con le quali non siamo rimasti in contatto. Jon Kabat Zinn
Pratica di mindfulness: La consapevolezza del respiro
© Nicoletta Cinotti 2015
Foto di ©Julia M Cameron