Credo che siano poche le persone che non provano mai senso di colpa. A volte lo proviamo perché abbiamo esagerato in qualcosa e abbiamo avuto un comportamento aggressivo contro noi o contro gli altri. Altre volte invece lo proviamo non per qualcosa che abbiamo fatto ma per qualche cosa che non abbiamo fatto. Come se non ci fosse distinzione alcuna tra quello che effettivamente potevamo fare e quello che avremmo dovuto fare a prescindere dalle circostanze. Possiamo provare senso di colpa anche per qualche progetto mancato, qualche piano non realizzato, come se fosse in nostro potere realizzare tutto, ottenere qualsiasi risultato: sappiamo bene che non è così ma non per questo ci consideriamo esonerati dal senso di colpa.
Anche se può sembrare strano il senso di colpa partecipa, in maniera a volte fin troppo attiva, alla costruzione di un’immagine ideale di noi. Non proviamo colpa solo nei confronti degli altri ma anche, e soprattutto, nei confronti di noi stessi, per non essere stati all’altezza della nostra immagine ideale. Potremmo fare a meno del senso di colpa? Non lo so, certamente contribuisce alla formazione di un senso morale, contribuisce allo sviluppo dei comportamenti sociali e contribuisce, in modo strapotente, alla nostra sofferenza.
Molta della nostra sofferenza, infatti, è connessa alla distanza che troviamo tra come sono andate le cose e come avremmo voluto che andassero. Non è ragionevole la sofferenza: è una forma estrema di non accettazione della realtà e il senso di colpa ci illude che sarebbe stato in nostro potere fare in modo che tutto fosse diverso (o almeno qualcosa fosse diverso)
È una sofferenza difficile da consolare. Ho visto persone che avevano confessato i loro peccati e ottenuta l’assoluzione eppure non riuscivano lo stesso a darsi pace. Perchè alla fine il senso di colpa ha un unico vero antidoto: perdonarsi. E non è per niente facile. Non basta essere perdonati dagli altri: fa bene al cuore ma non è sufficiente. Abbiamo bisogno di essere noi a darci l’assoluzione. Una assoluzione che non ci renda più cinici ma più teneri, verso noi e verso gli altri. Significa riconoscere le nostre responsabilità, provare rimorso se abbiamo fatto male a qualcuno e smettere di fare male a sé stessi: non ne ricaveremo nessuna. riparazione. Ma solo una condanna eterna.
Non è della morte che abbiamo paura ma dell’eternità. Daniel Lumera
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© Nicoletta Cinotti Parole che si poggiano sul cuore