A volte, quando mi siedo a scrivere, non esce nulla. Ci sono parole con il guscio duro come tartarughe. Potrei spiegare qualcosa del loro guscio, della composizione della corazza. Potrei raccontare una delle tante cose che ho imparato. Ma so che, quando le parole sono come tartarughe, non funzionerebbe. Sarebbe come ripetere una lezione a memoria.

Perché sotto quel guscio c’è una parte tenera che vuole essere scoperta. Allora prendo in mano la parola tartaruga, la giro sulla pancia, guardo quel mondo tenero e vulnerabile. Indifeso sembrerebbe. Invece no: è difesissimo dalla corazza superiore. So che devo parlare di quella pancia e che quella pancia, quasi sempre, ha una storia dell’infanzia da raccontare. Perché ci sono delle parti di noi che aspettano riscatto e fino a che non decidiamo di dargli voce si mettono di mezzo. Un po’ come degli ostacoli.

Alla fine mi decido: decido di cooperare con l’inconscio invece che cercare di sottometterlo con la mente. Poi c’è sempre un premio.

Il premio è che la mia mente riprende a funzionare in modo longilineo, e non tortuoso come una spirale. È perché ho pagato il riscatto e quindi sono libera.

Ci sono volte che non riesci a ricordare un nome, provi, provi, provi ancora e, alla fine, quando hai rinunciato, quel nome compare come per incanto nella mente. Penso che dobbiamo cercare di cooperare con l’inconscio invece che cercare di sottometterlo. Pat Schneider

Pratica di mindfulness: Centering meditation, per vedere se ci sono parole tartarughe