Rumino le vocali, meditandole.
La tramontana spazza il mio io di neve.
Il mio respiro giace e lievita profondamente nel mio ventre: l’ho lasciato cadere dopo averlo suonato nei polmoni.
Espirando, mi riapro lentamente con leggerezza distesa.
Sento la quiete a occhi chiusi salire al torace e alle tempie: la vaporosità di una fioritura interiore di ciliegi raggiungere ancora una volta il bianco nel suo avorio splendore, in un odore diverso da quello della neve e del pane. Mi contamina la sensualità di questa effimera, gioiosa, vestizione primaverile, che comprende la forza seminata delle radici e la carie del dolore.
Mi concentro e mi oriento nel calore di questa luce raggiunta.
La mia poesia contiene la ciclicità ritmica del respiro, la sua volatilità anonima.
Le vocali respirate permettono il ritmo nella lingua, tra le consonanti.
Compio un filo cantato nell’occhiello vuoto della O. “Dentro la O” di Anna Maria Farabbi Kammeredizioni