Quando arriviamo a dire a qualcuno la fatidica frase, “Non sei la persona che credevo che fossi” non abbiamo molto margine. Può capitare di dirlo ad un’amica, alla persona con la quale siamo in relazione. Può succedere di dirlo in preda alla rabbia o alla delusione ma, in ogni caso, è una frase che segna uno spartiacque. Molte volte uno spartiacque tra l’idealizzazione e la realtà. Perché non è che l’amore è cieco: è che, a un certo punto, decidiamo di chiudere gli occhi perché vogliamo che la storia che ci stiamo raccontando sia vera, vogliamo che la realtà si trasformi in una favola e ci sembra che ogni nota dissonante, ogni cosa che disturba il racconto, vada eliminata. Non so se è per quello che baciamo ad occhi chiusi – perché vogliamo immaginare la perfezione – ma credo che il momento in cui ci rendiamo conto della realtà abbiamo un’ottima opportunità: possiamo scegliere se inseguire i nostri sogni o atterrare e guardare la realtà. Potremo sempre partire dopo aver guardato le cose come stanno ma l’abitudine a “chiudere gli occhi” non è salutare. Quasi mai le persone che pronunciano la fatidica frase, “non sei la persona che credevo che fossi“, non avevano davvero visto alcuni aspetti che poi hanno fatto precipitare la situazione. Li avevano visti e, semplicemente, avevano chiuso un occhio o forse tutti e due. Non chiudiamogli gli occhi. Teniamoli aperti, Anche quando meditiamo non stiamo davvero chiudendo gli occhi, li apriamo su di noi. Alla fine è l’inconsapevolezza la fonte della maggioranza dei nostri guai. È il nostro rifiuto a guardare le cose così come sono che ci mette in situazioni dalle quali faremmo bene a stare alla larga. Così non basta abbracciarsi fino a rilassarsi, ci vuole anche tenere gli occhi aperti. Cosa vediamo di così inopportuno quando scegliamo di chiuderli? Perché non potremmo aprirli, almeno ogni tanto, visto che siamo già in una situazione di estrema intimità? Cos’è che ci fa preferire la luce spenta, gli occhi chiusi? Cos’è che ci fa paura nel guardare? Passiamo un sacco di tempo a cercare di togliere le erbacce e lo facciamo nei modi più inconsueti, non guardandole, coprendole, strappandole, nascondendole ma ogni erbaccia che vediamo potrebbe darci una buona informazione su chi siamo, su chi sono gli altri ed evitarci così di arrivare a pronunciare il più grande atto di disattenzione fatto contro di noi, “non sei la persona che credevo che fossi”.

Immagino che quando vi svegliate al mattino non vi sentiate tanto bene. Avete la mente piena di “erbacce”.Ma se smettete di sforzarvi per liberarvene, anche quelle potrebbero arricchire il vostro percorso verso l’illuminazione. Shunryu Suzuki Roshi

Pratica del giorno: Grounding

© Nicoletta Cinotti 2021 Reparenting ourselves

 

 

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