Per una serie di ragioni abbiamo sviluppato un atteggiamento competitivo non solo nei confronti degli altri ma anche nei confronti di noi stessi.
Lo mettiamo in pratica in modo semplice e crudele: qualsiasi cosa facciamo – soprattutto se è qualcosa che stiamo imparando – ci domandiamo ogni giorno “Oggi sono stato più bravo di ieri?”. “Ho fatto meglio” sembra diventare il metro delle nostre esperienze: come se valessero solo quelle che sono accrescitive rispetto alle precedenti. In questo modo però rendiamo l’errore sempre una colpa e mai un atto di apprendimento.
Abbiamo bisogno di sdoganare gli errori dal marchio del peccato e ricordarci che molte delle migliori scoperte dei nostri tempi sono nate per errore. Non solo Colombo cercava le Indie e ha scoperto l’America ma lo stesso è accaduto per moltissime altre scoperte.
Che dire poi delle domande comparative sulla nostra salute fisica o emotiva? “Oggi sto meglio di ieri?” può diventare un vero tormento e un’interferenza a qualsiasi processo di guarigione che ha ritmi, modi e tempi poco controllabili e certamente non esponenziali. Così la nostra indifferenza per la legge dell’impermanenza diventa una ossessione quando si tratta di entrare in competizione con se stessi. Diventiamo ricercatori al microscopio del “meglio”. Se prendessimo uno spazio di respiro invece che un metro di giudizio?
Sentiamo l’impellenza di sforzarci di cambiare la situazione perché sia “come dovrebbe essere”, un modo per evitare di affrontare i lati spiacevoli e deludenti. Segal, Williams, Teasdale
Pratica di mindfulness: Piacevole, spiacevole, neutro
© Nicoletta Cinotti 2022 Il programma di Mindful Self-compassion