Spesso dichiariamo di non essere disposti al sacrificio. Lo dichiariamo come atto di principio e come segno di discontinuità con una tradizione passata che ha fatto – del sacrificio – il mezzo principe dell’educazione. C’è un sacrificio però che facciamo, silenziosamente, tanto silenziosamente che nemmeno noi ne siamo pienamente consapevoli: è il sacrifico di una parte di noi.
Quella che ci appare inadeguata, non funzionale, non funzionante rispetto all’ottenere quello che desideriamo. Quella nei confronti della quale proveremmo vergogna: non perché fa atti di cui dobbiamo vergognarci. Ma perché ci farebbe perdere tempo, ci porterebbe in una direzione troppo libera o ci farebbe fare brutta figura . Ci distoglierebbe dagli obiettivi che perseguiamo con tanta, tantissima determinazione. Non è detto che siano obiettivi professionali. A volte questo sacrificio lo facciamo, in realtà, per ragioni relazionali. Per ottenere qualcosa che desideriamo ci sembra che – mettere da parte chi siamo nella nostra interezza – sia il primo passo.
È difficile distogliersi da questo sacrifico che, quasi come un atto magico, pensiamo che ci assicurerà il risultato. Dietro a tutto questo sta un’idea, sottile quanto profonda, di non accettazione e dietro la non accettazione ne vive un’altra – altrettanto profonda – non possiamo lasciare che la nostra vita si realizzi per come siamo. Dobbiamo mettere argini e confini perché altrimenti andremmo alla deriva. Ma, soprattutto, dobbiamo renderci perfetti per poter ottenere quell’amore e quel risultato che tanto desideriamo.
Alla fine però i programmi che si realizzano non sono solo nostri ma nascono dal nostro dialogo con la vita. Tanto vale allora coltivare il seme della fiducia e quello dell’interezza: farci a pezzi non ci farà arrivare prima né ci farà arrivare meglio. Ma lascerà solo un fondo di inquietudine e amarezza dietro anche i migliori successi: l’illusione che se saremo perfetti saremo amati fa più danni dello scoprire quanto, in realtà, amati lo siamo già. Non è un bilancio che deve spaventarci: è il rendimento reale della nostra vita.
E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, nonostante tutto? Si.
E cos’è che volevi? Potermi dire amato, sentirmi amato sulla terra. Raymond Carver
Pratica di mindfulness: Self compassion breathing
© Nicoletta Cinotti 2016 Cambiare diventando se stessi
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