Chiunque mi conosca sa che sono stata salvata dal Kindle: per anni sono andata in giro con borse e zaini pieni di libri. Una minaccia per la salute della schiena anche per una bioenergetica come me. C’è un libro però che è sempre con me – e non solo perchè non c’è la versione kindle – Paura di vivere. Non fatevi spaventare dal titolo: la visione che offre è un modo per andare al di là della paura di vivere che è la difficoltà ad uscire dalla zona di comfort disegnata dalle nostre difese.
Ogni tensione cronica nel corpo è una paura della vita, una paura di lasciarsi andare, una paura di essere. Alexander Lowen
Due parole su Lowen
Ho iniziato a leggere Lowen molto tempo prima di incontrarlo. Così mi ero fatta un’idea di lui che non corrispondeva a realtà, o almeno alla realtà di quando l’ho conosciuto. Lo immaginavo circondato di libri, elegante e distaccato. Invece non ricordo di aver visto molti libri in casa sua. Era appassionato, vitale, elegante a modo suo, sempre in movimento e con una intelligenza vivissima. La sua teoria è basata principalmente sulle intuizioni cliniche. Non perchè non avesse una solida cultura – aveva tre lauree – ma perchè, alla fine, era molto consapevole di essere lui l’ideatore della bioenergetica. Un approccio che deve a Reich le fondamenta ma che Lowen rese originale in una maniera tale che l’approccio reichiano e quello bioenergetico rimasero sempre due formazioni distinte.
Rileggendolo dopo averlo conosciuto ho capito meglio che era stato uno scrittore non organico. Era un intuitivo e seguiva – con moltissima fiducia – le sue intuizioni. Non era troppo appassionato della logica né voleva dare troppa struttura al suo pensiero e alla sua organizzazione. La struttura, a suo avviso, rischiava di irrigidire quello che invece è un flusso. Così è nei suoi scritti: non bisogna leggerlo in modo lineare. Apre un argomento, poi parla di un caso e riprende l’argomento due capitoli dopo, perchè – nel frattempo – ha voluto capire meglio un aspetto collaterale del discorso. Va letto così, come se fosse una conversazione in cui, le storie, procedono a cerchi.
Le storie si muovono a cerchi. Non procedono in linea retta. Così aiuta ascoltarle in cerchi. Ci sono storie dentro le storie e storie tra una storia e l’altra e trovare la tua strada in mezzo è facile e difficile come trovare la via di casa. Parte del trovare sta nel perdersi. È quando ti senti perso che inizi a guardarti intorno e ad ascoltare. Deena Metzger
La via di casa: la paura di essere
Quando pensiamo ad una psicoterapia ci vengono in mente i nostri disagi emotivi e la storia passata, come se fossero in una sequenza lineare. Raramente pensiamo che sia una riduzione della dimensione dell’essere a causare i disagi che viviamo nel presente. Il fare ci sovrasta e ci allontana dalla nostra dimensione interiore, rendendoci così automi in un circolo vizioso dove ripetiamo vecchie modalità difensive. È per questo che Lowen intitola uno dei capitoli chiave di “Paura di vivere” La paura di essere: per affermare che il nostro incessante fare riduce la dimensione dell’essere e causa il disagio esistenziale, l’infelicità e i disturbi emotivi che ci tormentano.
Se essere è la vita perché ne abbiamo così paura? Perchè ci è così difficile lasciarci andare ed essere soltanto? Queste le due domande d’esordio che ci mettono subito in condizione di dire che siamo di fronte ad una teoria clinica nuova, ad un approccio alla psicoterapia diverso che non va prima nella diagnostica ma va al nucleo, al cuore del nostro essere uomini. La sua risposta è semplice ma non banale: abbiamo paura di essere perchè l’essere è la vita del corpo e noi ce ne distacchiamo per vivere la vita della ragione, dell’Io. È questa la radice della nostra paura di essere, una paura che ci spinge ad un fare incessante.
Se abbiamo paura di essere, di vivere, possiamo mascherare questa paura intensificando il nostro fare. Più siamo occupati, meno tempo abbiamo disponibile per sentire, essere, vivere. Alexander Lowen
Il disagio emotivo nasce qui: è come se ci separassimo da noi stessi. Anzi, ci separiamo da noi stessi per non sentire il dolore, per non sentire la gioia, perchè, alla fine temiamo entrambi come se fossero – e lo sono – distrattori fastidiosi dai programmi che decide la nostra volontà e il nostro Io. Non abbiamo solo paura di sentire il dolore. Forse la paura più grande è quella di sentire il piacere di essere vivi perchè ci renderebbe meno efficienti.
Essere come non fare
Questa è – per Lowen (e per la mindfulness) – l’antitesi di base: l’antitesi tra l’essere e il fare. Fare rappresenta il tentativo di cambiare una situazione, possiamo usarlo per cambiare una situazione esterna ma è totalmente inutile per cambiare una situazione interiore. La nostra interiorità non cambia con il fare ma aumentando l’essere, dice Lowen, ponendo così le basi per quella che definirà “una terapia dell’essere”: l’analisi bioenergetica.
Quando la situazione è interiore, cioè uno stato dell’essere, cercare di cambiare questo stato con il fare ha come risultato una riduzione dell’essere. Alexander Lowen
Si innesca così il circolo vizioso che ben conosciamo: ci sforziamo di cambiare e il risultato dei nostri sforzi – quando va bene – è un momentaneo cambiamento esterno. Le cose però tornano poi come prima.
Lowen inserisce questa prospettiva nella corrente legata ad Erich Fromm che, solo quattro anni prima, aveva pubblicato “Avere o essere” un libro che segnò una pietra miliare nella psicologia americana di quegli anni e non solo. Essere e avere rappresentano due atteggiamenti molto diversi nei confronti della vita. Nell’avere abbiamo una relazione possessiva ed egoica. L’essere è invece relazionale e trova la sua identità attraverso la condivisione e lo scambio.
Il tema della modalità dell’essere e della modalità del fare è centrale anche nel lavoro che viene fatto nei protocolli mindfulness in cui cerchiamo, attraverso l’apprendimento di pratiche di consapevolezza, di diminuire l’identificazione con il fare per aumentare l’identificazione con l’essere.
Estensioni dell’anima
Il cambiamento terapeutico, in bioenergetica, è simile alla crescita: è un cambiamento che viene dall’interno, nel rispetto dei ritmi della persona e ha la forma della crescita perchè è radicato in un aumento dell’essere e in una riduzione del fare. Anche se possiamo fare movimenti nel corso della seduta questi non hanno lo scopo di allenarci, non sono azioni, né esercizi. Sono estensioni dell’anima, espressioni del Sé, sensazioni percepite e non rimosse.
L’essere infatti si identifica con le sensazioni e le sensazioni non possono essere prodotte: si verificano spontaneamente e non hanno uno scopo o un obiettivo. Non producono nulla: possiamo dare un significato alle nostre sensazioni ma le sensazioni sono spontanee e non nascono in risposta alla nostra volontà, la loro funzione è favorire il processo vitale.
Il fare non implica né determina delle sensazioni, anzi, può addirittura inibirle. Questo non significa che ogni volta che facciamo qualcosa non sentiamo. Significa che, per fare qualcosa con sentimento, abbiamo bisogno di rispettare i nostri ritmi. Se ci forziamo il prezzo che paghiamo è ridurre la sensazione. Possiamo ovviare a questo stile praticando Pausa – come facciamo nella mindfulness – perchè la pausa ci permette di riconnetterci al nostro ritmo naturale.
La salute emotiva può essere raggiunta solo attraverso una consapevolezza di sé e un’accettazione di Sé. Lottare per cambiare il proprio essere ha come conseguenza che la persona è coinvolta profondamente nel destino che cerca di evitare. Alexander Lowen
Fluire o spingere?
Quando le cose fluiscono – che non è quando siamo nel pilota automatico – siamo nella modalità dell’essere. Viviamo il piacere di quello che stiamo facendo e siamo soddisfatti dal processo e non occupati dal risultato che vogliamo ottenere. Quando invece dobbiamo – o vogliamo – ottenere un risultato siamo costretti a spingerci, a sforzarci e siamo nella modalità del fare, indipendentemente da quale azione stiamo compiendo. Anche una psicoterapia può essere condotta come un fare, uno sforzarci.
La relazione tra l’essere e il fare è una relazione dinamica. La nostra infanzia forse è l’unico periodo della vita in cui le nostre azioni possono essere interamente dedicate all’essere. Man mano che cresciamo siamo chiamati a sviluppare un equilibrio tra l’essere e il fare, tra le sensazioni e il pensiero, la spontaneità e la volontà. È quando non riusciamo a trovare questo equilibrio che iniziamo a sviluppare sintomi di disagio fisico e/o emotivo.
La piena armonia tra l’Io e il corpo, l’Io e l’Es porta ad un movimento che è spontaneo e controllato nello stesso tempo. Può sembrare una contraddizione ma solo questa associazione genera azioni aggraziate ed efficienti, naturali e adatte alla situazione. Le persone che hanno equilibrio tra queste forze possiedono equilibrio, grazia e dignità. Alexander Lowen
Il fare può sovrapporsi all’essere ma non può sostituirlo. Quando avviene una sostituzione iniziamo a sperimentare una inquietudine, un senso di vuoto ed insoddisfazione che va al di là del dato di realtà. Forse possiamo avere anche molto successo ma siamo infelici. Perchè la felicità nasce dallo stato dell’essere e dal suo equilibrio con il fare. Questa spinta a fare viene mantenuta dalle nostre contrazioni muscolari che sono un modo per rendere presente il nostro passato.
La terapia dell’essere
Perché siamo tristi? Che cosa provoca la nostra paura? Da dove nasce la nostra rabbia? Attribuire queste emozioni all’esperienza passata è una spiegazione storica, non dinamica. Le sensazioni derivano direttamente dalle esperienze del presente; tuttavia queste esperienze sono condizionate dal passato nella misura in cui quest’ultimo si è strutturato nel modo di essere di un individuo. In questo modo il passato diventa parte del presente.Alexander Lowen
La terapia dell’essere – e ormai Lowen ci ha convinto che questa è la strada – significa muoversi in una psicoterapia dinamica che coglie i movimenti di cambiamento, la crescita spontanea, la capacità di stare nel flusso anziché nello sforzo, nella volontà e nel rigore. Significa non affondare nel passato – pur riconoscendo che sono le nostre tensioni muscolari croniche che rendono il nostro passato un elemento del presente – per dare spazio alla consapevolezza, all’essere, alla nostra dimensione interiore. Per restituirci quella capacità di lasciar andare che nasce dallo sciogliersi delle tensioni fisiche ed emotive. Per restituire a noi stessi uno spazio più ampio ed equilibrato.
Tutte le tensioni muscolari croniche del corpo sono associate alla tristezza, alla paura, alla rabbia. La tensione è una riduzione del nostro essere e questo ci rattrista e ci riempie di rabbia.Alexander Lowen
Lowen non si accontenta e prosegue …una terapia il cui scopo è allargare o espandere lo stato dell’essere deve prendere in considerazione i fattori dinamici, Il modello della terapia è dare sbocco al circolo vizioso…ogni progresso nella capacità di sentire aumenta l’energia – prosegue Lowen – questo avviene integrando l’esperienza nella personalità e nella vita dell’individuo, in modo che il risultato sia l’espansione dell’essere. C’è un corrispondente aumento della consapevolezza, anche se il problema affrontato non è nuovo.
Il cambiamento terapeutico, che significa un cambiamento del carattere, è simile alla crescita, in quanto è un processo interiore che non può essere compiuto con uno sforzo cosciente. Questo non significa che il fare non abbia nessun ruolo nel processo di crescita. Per acquisire un’abilità è necessario ripetere alcune azioni consciamente in modo che possa avvenire l’apprendimento ma l’apprendimento in sé avviene a livello inconscio. Alexander Lowen
La spirale della crescita
Se abbiamo paura di essere, se ci proibiamo di esistere e questo ci rende infelici non abbiamo bisogno di fare una psicoterapia: abbiamo bisogno di fare una terapia dell’essere che ci consenta di risvegliare quella spirale della crescita che rimane attiva per tutta la nostra vita. La crescita infatti è il nostro potenziale e non è mai sopito. In fasi diverse della vita assume aspetti diversi ma è sempre lì, in attesa che noi, terreni distratti, lo coltiviamo.
© Nicoletta Cinotti 2016
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Bibliografia
E. Bayda, Le radici della felicità
N. Cinotti, Destinazione Mindfulness: 56 giorni per la felicità
E. Fromm, Avere o essere
A. Lowen, Paura di vivere
C. Traverso, Mente calma cuore aperto
M. Williams, D. Penman, Metodo Mindfulness