Sono psicoterapeuta da molto tempo e, come è logico che sia, nel tempo il mio modo di lavorare è cambiato. Nasco come analista bioenergetica con molte simpatie verso il setting psicoanalitico. All’inizio le regole e il rispetto delle regole erano una parte integrante del percorso psicoterapico.

Nel tempo mi sono resa conto che l’efficacia della psicoterapia era molto legata alla qualità della relazione terapeutica e le regole sono passate in secondo piano, pur rimanendo una cornice essenziale. Mi è sembrato che offrire riconoscimento e validazione emotiva fosse fondamentale, tanto necessario che annullava i problemi di disciplina, rendendo le persone naturalmente regolate attraverso la consapevolezza.

Mi sono accorta che ogni paziente passato aveva lasciato un segno e che questo segno mi cambiava, anno dopo anno. Rendendomi una persona diversa e, nello stesso tempo più autentica. Le difficoltà e le domande delle persone non se ne vanno quando escono dalla porta e mi spingono a cercare – per loro e anche per me – nuovi strumenti, nuove risposte e forse, semplicemente nuova profondità per il mio lavoro.

Quando poi ho iniziato ad inserire la mindfulness nella psicoterapia mi sono resa conto che avevo fatto un passaggio. Per me epocale. Riconoscevo che molte delle sofferenze erano dovute ad una perdita di senso e che le risposte tradizionali della psicoterapia rischiavano di essere inadeguate. La ricerca dei pazienti non è più solo una ricerca di salute: è sempre di più una ricerca di felicità. E la mia salute e la mia felicità possono essere separate dal mio lavoro?

Francamente no.

Una buona ragione per lavorare

Spesso mi rendo conto che il mio attaccamento al lavoro è forte. fortissimo. Non ci sono ragioni difficili dietro questo attaccamento. Il punto è che, curando gli altri curo me stessa. Coinvolgo così le persone nella stessa ricerca che porto avanti per me. Con gli stessi dubbi, le stesse incertezze e gli stessi punti di forza.

È una ricerca sincera la mia. Non nascondo ferite e strappi. Lo faccio per gratitudine rispetto a quello che ricevo. Ma soprattutto lo faccio per sincerità e per non alimentare una visione idealistica nei confronti di chi cura.

La parola sin cera ha un bell’etimo. Significa senza cera. La cera veniva usata nel rinascimento per nascondere i difetti delle sculture, colando cera fusa nelle fessure e poi coprendole con polvere di marmo. Il metodo era considerato un inganno e quindi, qualunque scultura ‘senza cera’, era considerata un’opera d’arte autentica.

Gli psicoterapeuti sono stati istruiti a rimediare le loro falle, attraverso una lunga psicoterapia didattica. Questa necessaria salute mentale di base diventa però, per molti, una forma di sottile insincerità con se stessi e con gli altri. Oggi la psicoterapia non è più così orientata. Non lo è la mia. Non è l’esibizione del dolore ma nemmeno la copertura delle proprie ferite che dà efficacia allo psicoterapeuta. Piuttosto è aver imparato dalla propria esperienza. Per quanto dolorosa e difficile possa essere stata.

Verso una psicoterapia contemplativa

Così, quasi senza accorgermene mi sono trovata sempre più nel main stream di un approccio contemplativo alla psicoterapia. Non significa che non cerchiamo soluzioni: significa che comprendere come funzioniamo diventa la base dalla quale far scaturire le risposte. Significa anche scendere a patti con la realtà, che non è perfetta, e, spesso, dietro al dolore, sta un mistero imperscrutabile e irrimediabile. Comprendere l’inevitabilità della sofferenza come elemento della vita, ci toglie dall’illusione che, se saremo perfetti non soffriremo mai. Ci restituisce la consapevolezza che, piuttosto, la differenza sta in come rispondiamo al dolore e non nella pretesa che, nella nostra vita, siccome siamo belli, bravi e buoni, non ci sia mai alcun dolore. Capire come funzioniamo elimina, senza sforzo, molti dei nostri sintomi. E molte delle nostre pretese.

Così, uno degli ultimi libri di Lowen “La spiritualità del corpo” mi è sembrato più vicino di quanto ritenessi all’inizio del mio lavoro come analista bioenergetica. In questo libro Lowen orienta l’analisi bioenergetica verso una spiritualità immanente.

(Nella meditazione) si cerca di acquietare la mente così che il singolo possa sentire il suo spirito individuale e la sua connessione con una spiritualità universale.(…)Non è riconosciuto che quando si perde la connessione con il mondo esterno si registra anche una concomitante perdita di connessione con il Sé corporeo. Alexander Lowen

Alcuni elementi di base degli approcci contemplativi alla psicoterapia

Da Carl Rogers in poi la consapevolezza che esiste un nucleo che rimane intatto anche di fronte alle offese più severe è stata alla base dell’approccio umanistico alla psicoterapia. Alcune difese poi, per esempio quelle dissociative, hanno proprio questa funzione basilare: proteggere questo nucleo di brillante salute. In realtà non dobbiamo preoccuparci: questo nucleo è protetto e le difese ci allontanano dalla sua qualità originaria.

In questo senso la psicoterapia lavora per connetterci con questo nucleo originario che ha qualità di saggezza e compassione, chiarezza e consapevolezza.

Il contatto con questo nucleo originario è sempre possibile e possiamo facilitarlo attraverso le pratiche di consapevolezza. Spesso diamo un’occhiata fugace che, da sola, basta a darci la motivazione giusta per andare avanti. In ogni caso questo contatto nasce dall’esperienza, non dalla teoria. E da una apertura del cuore.

Il momento presente e l’esperienza

È solo nel presente che possiamo avere un’esperienza diretta ecco perché, negli approcci contemplativi alla psicoterapia, l’esplorazione del passato è finalizzata a come il passato influenzi direttamente il presente.

L’esperienza è vista nella sua continua possibilità trasformatrice e quindi anche l’identità è visto come un oggetto in continuo cambiamento.

Molta della psicologia dinamica tradizionale sottolinea gli aspetti di continuità piuttosto che quelli di cambiamento e così il Sé finisce per essere definito come qualcosa di permanente, separato e solido.

Un approccio contemplativo alla psicoterapia non abbandona gli elementi di continuità ma sottolinea invece molto di più gli aspetti legati alle possibilità di cambiamento e crescita. Il Sé quindi è visto come un aspetto che si ridefinisce in continuazione, grazie all’esperienze che incontra, e, quindi, per quanto possa essere stato intenso un dolore o un trauma, guarda molto di più alle risorse innovatrici che alle ferite passate.

Il ruolo della relazione

Aver sottolineato molto gli aspetti di identità ha fatto crescere l’idea – illusoria – che siamo entità separate e distinte. Un’idea cartesiana che è stata fondamentale per il progresso scientifico meccanicistico ma che è stata ampiamente superata dall’approccio quantistico. La nostra esperienza nasce in relazione con l’ambiente e quindi dall’interazione con le altre persone.

Lo stato mentale dello psicoterapeuta diventa così un elemento importante della relazione terapeutica: più è ampia la presenza e la consapevolezza, più è efficace la relazione terapeutica. E la psicoterapia diventa una espansione diadica della coscienza.

Thich Nhat Hanh parla di inter-essere, uno stato che anche le moderne neuro-scienze sottolineano: gli emisferi di due persone tendono a sintonizzarsi quando sono in una relazione intima. In questo modo, le esperienze degli altri vengono comprese interiormente, percettivamente, prima ancora che intellettualmente.

Smitizzare la sofferenza


L’idea che la sofferenza e il dolore siano frutto di un errore è molto forte e molto diffusa. Si accompagna alla sensazione che, se soffriamo, sia perché c’è qualcosa in noi che non va. Qualcosa di rotto da riparare. Oppure che questo dolore sia la conseguenza di un errore.

In questo caso l’idea di base è un po’ diversa: il dolore, nella vita è inevitabile. Può arrivare dal passare del tempo, dalla malattia o dalla perdita di cose e persone che amiamo. Ma nessuna vita è esente da dolore. La sofferenza fondamentale sta in come rispondiamo a questo dolore e nella nostra disponibilità a non trasformarlo, con la nostra reazione, in una forma cronica di sofferenza.

Quale che sia la causa del nostro dolore ci chiede di prendere la responsabilità di una risposta saggia e, per farlo, abbiamo bisogno di portare un’attenzione non giudicante ai dettagli della nostra esperienza. Una attenzione consapevole.

La consapevolezza di cui parliamo è quella capacità naturale di essere completamente dentro un’esperienza e saperla descrivere con presenza, senza attenzione divisa. E senza giudizio, anche se è condita da emozioni difficili.

L’aspirazione è che la natura profonda delle cose entri nel nostro cuore rotto. Mark Nepo

Cosa fare con le emozioni?

Nell’approccio psicodinamico tradizionale ci sono emozioni negative che hanno un effetto patologizzante. L’obiettivo è ridurre la loro comparsa. Nella psicoterapia contemplativa ogni emozione è portatrice di un grano di saggezza per cui il punto non è sopprimerle, né sbarazzarcene o agirle impulsivamente. Reprimerle si accompagna ad uno stato costante di tensione corporea che spesso alimenta solo altri problemi.

L’approccio, in questo caso, è andare dentro l’esperienza diretta dell’emozione presente, in modo da poterla conoscere meglio e trovare la chiarezza che nasconde. Non reprimere, non agire ma esplorare.

Essere pellegrini

C’è un detto – credo ebraico – che dice che se viaggi senza cambiare sei un nomade. Se cambi senza viaggiare sei un camaleonte. Se viaggi e il percorso ti cambia sei un pellegrino. Credo che uno psicoterapeuta, indipendentemente dal proprio approccio, sia un pellegrino. Inizia e, con il tempo, cambia. Cambia perché incontrare gli altri rende il nostro percorso un pellegrinaggio verso una sincerità che possa essere la saggezza della verità.

Possiamo continuare a cominciare, continuare a fare vuoto, continuare a respirare noi stessi, aperti. Mark Nepo

Mindfulness e self-compassion tra psico-educazione e clinica

© Nicoletta Cinotti Pasqua 2017 Foto di ©[E-Tank] ©End87

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