Ieri sono andata dal parrucchiere e mentre aspettavo sentivo due clienti raccontare di quanto fosse difficile prendersi cura di sé e volersi bene. Volersi bene almeno un po’, diceva una delle due donne. Invece mi occupo continuamente degli altri e dimentico di fare anche le cose più semplici per me. In realtà era una signora piuttosto elegante e curata eppure affermava con una certa sicurezza che era continuamente a rincorrere la sensazione di non fare abbastanza. Francamente a quel punto l’avrei abbracciata (Cosa che mi avrebbe fatto considerare ancora più out di quanto non mi senta normalmente dal parrucchiere). L’avrei abbracciata perchè esprimeva così bene un conflitto che molte persone vivono: quello che le spinge a fare il massimo e, nello stesso tempo, a convivere con la tagliente sensazione di inadeguatezza.

La storia dei demoni

Mi è tornata in mente una storia che ho letto tempo fa che descrive bene questa sensazione di inadeguatezza che emerge a prescindere dalle reali circostanze. Noi siamo come una barca, di cui siamo i timonieri. Nella stiva di questa barca dormono dei demoni che rimangono calmi fino a che la nostra navigazione non ci spinge in aree proibite. Le aree proibite sono quelle che escono dalla nostra consueta comfort zone (che poi non è davvero tanto confortevole). Se facciamo qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo possiamo percepirlo come pericoloso e così i demoni salgono sul ponte di comando per convincerci a tornare sulla rotta consueta. I demoni sono nati dalle esperienze negative e hanno lo scopo di proteggerci facendoci paura.

Occuparsi di noi può essere vissuto come una faccenda piuttosto pericolosa. Richiede allentare il controllo sugli eventi esterni, guardare con attenzione che cosa succede nella nostra vita. Richiede spazio e tempo e non sappiamo che risultato potrà portare. Così tutte le volte che vorremmo prenderci del tempo per noi i demoni che dormono nella stiva salgono in coperta e ci invitano a proseguire nella rotta consueta: il solito impegno che ci sembra offrire una vita tranquilla e rassicurante. Una vita nella quale non c’è tanto spazio per noi perché i demoni sono convinti che sia pericoloso e convincono anche noi della stessa cosa.

Il mare è grande

Il mare però è grande e vediamo altre barche in cui il timoniere fa delle cose diverse. Cose che vorremmo fare anche noi, se non avessimo quei demoni che ci spaventano. Per esempio potremmo desiderare di arrivare in un porto e riposarci, proprio come vediamo fare ad altre imbarcazioni. E invece, costretti da questi demoni, continuiamo a navigare.

Fino a che il timoniere decide di obbedire ai demoni – che poi vuol dire obbedire alla paura – siamo costretti a procedere in questo modo. Ma ad un certo punto decidiamo di correre questo rischio e decidiamo di arrivare in porto e attraccare come vediamo fare ad altre barche. I nostri demoni fanno un gran baccano ma stavolta non ci facciamo condizionare. E scopriamo così che non succede nulla. Anzi che era proprio tanto rumore per nulla. Che prendersi del tempo per sé non comporta nessuna tragedia. Certamente è più semplice farlo per andare dal parrucchiere che per meditare, o forse è l’opposto? Meglio meditare che andare dal parrucchiere? Oppure – meglio ancora – fare entrambi?

Non è una questione di genere

Non farti ingannare dall’esempio del parrucchiere: prendersi del tempo per se stessi non è una questione di genere. Uomini e donne fanno la stessa fatica a volersi bene, a prendersi cura dei propri bisogni, a darsi attenzione staccando dalle necessità della vita quotidiana. Come se occuparsi di se stessi fosse un atto egoistico. E, invece, è un atto essenziale. Se non lo facciamo entriamo in una modalità di ostilità nei nostri confronti che, con il tempo, diventa una modalità ostile anche nei confronti degli altri. Dare attenzione non può essere un movimento a senso unico. Và insieme a ricevere attenzione. Se diamo attenzione agli altri senza darla a noi stessi finiamo per esaurire le nostre risorse. Uomini e donne hanno lo stesso tema: come occuparsi di se stessi, come volersi bene senza sentirsi in colpa?

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Il demone dell’errore

C’è un’altra ragione che ci spinge ad evitare questa intimità con noi per sostituirla alle azioni. È la paura di accorgersi che c’è qualcosa che non va. Fino a che siamo attivi ci sentiamo adeguati ma quando iniziamo ad esplorare abbiamo paura di incontrare altri demoni, quelli che raccontano solo i nostri errori. Quelli che vedono solo i nostri difetti. Quelli che facciamo tacere mostrandogli quanto siamo capaci sul lavoro, nella gestione dei figli, nella vita quotidiana. Quei demoni lì, prima o poi vanno incontrati. Se non li incontriamo saremo costretti a vivere una vita dedicata solo all’azione, senza porti in cui attraccare. E per incontrarli non basta la consapevolezza. È necessario l’affetto.

Mindfulness e heartfulness

La consapevolezza è un’arma a doppio taglio: ci mostra quello che c’è e, a volte, non fa per niente piacere vedere quello che c’è (è per questo che evitiamo di vederlo in tutti i modi). È per questo che la mindfulness non può essere solo un’esperienza di consapevolezza ma deve essere anche una esperienza di heartfulness, di pienezza, di affetto. Perché altrimenti ci sembrerà troppo cruda la verità su di noi e, per quanto consapevoli che meditare ci fa stare meglio, cercheremo di sfuggire alla pratica per paura di guardare in faccia noi stessi. Lo straniero che abbiamo dimenticato e che ci conosce perfettamente. Quello straniero che aspetta di tornare a casa, di vederci attraccare in porto. Quello straniero che non aspetta altro che di diventare conosciuto e amato.

Volersi bene è un percorso

Così volersi bene è un percorso che inizia con la consapevolezza e arriva alla compassione. Un sentimento che è ben diverso dalla pietà. Se la pietà ci mette in una posizione di superiorità, la compassione verso noi stessi nasce da una posizione di intimità e fiducia. Intimità con il nostro bisogno e fiducia nella nostra possibilità di realizzare ciò di cui abbiamo bisogno. È un percorso anche perché i sentimenti sono come il pane, vanno fatti e rifatti ogni giorno e ogni giorno sono diversi. Proprio come accade in una relazione sentimentale, volersi bene non succede in un attimo: ci vuole del tempo per imparare a volersi bene e vedere questo affetto crescere e fiorire.

La storia dei bulbi

Quest’anno nella pratica gratuita di meditazione prima di Natale ho fatto un regalo. Ho raccolto i bulbi che pianto ogni anno e ho regalato un bulbo a ciascun partecipante perchè la pratica della meditazione è coltivare – bhavana – coltivare le qualità della nostra mente originaria. Qualità che includono l’amore e il rispetto verso noi stessi. Li ho regalati perché le persone si ricordassero che quello che è fiorito per me fiorisce per tutti, se solo viene messo a dimora. E poi perché i bulbi hanno una forza straordinaria. Puoi tenerli fuori dalla terra, al buio, per anni ma quando incontrano delle condizioni favorevoli fioriscono. Proprio come i semi che, dentro di noi, aspettano di germogliare. Adesso mi stanno arrivando le foto della fioritura. La pratica è una strada per la fioritura. Una strada che facciamo sempre insieme anche quando crediamo di farla da soli. Da qualche parte, proprio ora, c’è sicuramente qualcuno che sta praticando come noi. E la sua pratica sostiene e alimenta anche la nostra. Perché vedere delle barche che vanno ad attraccare in porto ci ricorda che anche per noi c’è un porto. Che aspetta la nostra barca.

© Nicoletta Cinotti 2019

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